Dedichiamo questo articolo alle decisioni prese ieri dalla Banca centrale europea che in qualche modo potrebbero aver segnato l’inizio di una nuova era per l’Europa, meno incentrata sulla politica monetaria e più concentrata invece su una politica fiscale espansiva.
I provvedimenti adottati dalla Bce sono tanti e avranno varie conseguenze, ma i più rilevanti sono essenzialmente due:

  1. La decisione di non indicare più una data per segnalare il primo rialzo dei tassi, ma condizionare quest’ultimo esclusivamente al raggiungimento “stabile e robusto” dell’obiettivo della Banca, che è e rimane il tasso d’inflazione in Europa al 2% o appena sotto (Draghi ha parlato chiaramente di inflazione depurata da cibo e energia). Essendo questo obiettivo sostanzialmente mancato fin dal 2007, possiamo immaginare un tasso d’interesse ufficiale che difficilmente salirà nei prossimi anni.
  2. È stato ripristinato il programma di acquisto di titoli, il cosiddetto QE, anche se ad un ritmo piuttosto blando, 20 miliardi al mese.
    La grande novità è che anche in questo caso si è eliminato qualsiasi riferimento alla scadenza del programma stesso, indicando solo che verrà interrotto poco prima del rialzo dei tassi ufficiali. Se combiniamo la prima decisione con questa, possiamo immaginare che il QE durerà veramente tanto, al punto che qualche commentatore lo ha subito soprannominato “QE infinity”.
    In buona sostanza la Bce ha detto al mercato e ai governi che la politica monetaria ha sostanzialmente terminato la sua spinta verso condizioni monetarie più favorevoli, ma allo stesso tempo, ha assicurato che gli attuali stimoli rimarranno in piedi per lunghissimo tempo e, comunque, fino a quando saranno necessari.
    Fatta questa premessa, Draghi ha poi esortato i governi Europei che se lo possono permettere, Germania in primis, a mettere in campo politiche fiscali espansive che aiutino la politica monetaria a dispiegare i propri effetti sulla crescita economica. In poche parole il patto è questo: la Bce promette tassi bassi in eterno (e quindi bassi tassi sulle emissioni di titoli di Stato) per far emergere risorse a favore di provvedimenti fiscali pro crescita.
    Se il piano funziona, l’Europa si risolleverà dalla crescita anemica degli ultimi anni e gli investimenti in azioni europee torneranno nel mirino degli investitori internazionali.
    L’Italia è particolarmente avvantaggiata da queste decisioni, avendo un debito molto più alto dei partner europei. Se la riduzione dei tassi sui titoli diventasse permanente, il risparmio sugli interessi nei prossimi anni permetterebbe di dirottare verso altre buone cause i soldi risparmiati. Per il momento, i 36 miliardi all’anno di QE che spettano all’Italia serviranno a coprire più o meno integralmente il deficit che ancora noi abbiamo sul bilancio pubblico, intorno al 2% del Pil…

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